
La tempesta
A tempest must be just that
A tempest must be just that
A tempest must be just that
(Jones/Carey/Chancellor/Keenan)
Questa è la prima parola che mi viene in mente quando penso alla Transalpine Run.
Un tornado, una tempesta, un gorgo, un vortice che ti intrappola e sbatacchia e da cui pensi (e poi speri) di non uscire più.

Si comincia
Iniziare è facile, continuare è difficile.
(Proverbio tedesco)
Arrivi il giorno prima della partenza, non sai cosa succederà e come andrà nei giorni successivi, ma subito ti trovi sballottato da un punto all’altro della logistica di gara. Il ritiro dei pettorali e le spiegazioni anglo-tedesche degli addetti (ma tu hai capito cosa ha detto? ma siamo sicuri che…), il riempimento del borsone con tutto quello che prevedi ti servirà nella settimana successiva, l’individuazione dei punti “nevralgici” della prima giornata (la partenza, il pasta-party, l’hotel, …). Intorno a te gente di tutte le nazionalità (tranne che della tua…) e cominci a non capire più nulla.
L’ultima notte “tranquilla”, quasi normale. Ma carica di elettricità, di attesa e di timore. Senti il tuono che si avvicina, avverti l’arrivo della tempesta e capisci subito che non ne uscirai uguale a prima.

Riti
La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia.
Man mano che procedi, però, cominci a intravedere un disegno che si delinea all’interno del turbine. E comprendi che, se vuoi sopravvivere, devi afferrarlo e farlo tuo, con tutti i suoi rituali e le sue fasi, senza mai lasciarti sopraffare da imprevisti e sorprese. Soprattutto se affronti la TAR nel modo più selvaggio, pochi hotel e tante notti passate nei CAMP. Il CAMP: asettica definizione per definire un accampamento disordinato di borsoni e effetti personali, sacchi a pelo e abiti stesi nella improbabile speranza di farli asciugare, odori di sudore e di pomate miracolose per lenire dolori e infortuni vari, code ai cessi e nelle docce, gente che russa e ricerche spasmodiche e disperate di prese elettriche per ricaricare smartphone e orologi. Capiti dove capiti, dal moderno centro sportivo con tanto di piscina, alla palestra di paese con docce fredde e pochi servizi, fino al rifugio antiatomico (giuro!) dove devi arrangiarti a dormire su uno scaffalone di legno tipo Ivar di Ikea, con il ventilatore dell’aria che ti assorda per tutta la notte. Ma il rituale è sempre lo stesso: arrivi, ti guardi un po’ in giro, disfi la borsa spantegando tutto quanto intorno a te nel disperato tentativo di trovare al primo colpo ciò che ti serve… Gonfi il materassino, stendi il sacco a pelo, doccia, preparazione di abiti e zaino per la giornata successiva, poi qualche momento di relax tutto per te, cercando di isolarti dal vortice che ti gira intorno… Intorno, la più varia umanità: chi fa stretching, chi dorme, chi studia la tappa del giorno dopo, chi chiacchiera, chi guarda fisso nel vuoto, quelli che si sono portati il Mac, quelli che estraggono un libro, quelli che cercano di fare il bucato…

E la sveglia alle 5:30 è pesante, figuriamoci se alle 5 c’è già qualcuno che rompe i coglioni, il pensiero di uscire dal sacco a pelo è insopportabile… Ma fa tutto parte del rito. Esci dal bozzolo caldo, sgonfi il materassino, riponi il sacco a pelo, ti perplimi un po’, toeletta, vestizione con le ultime decisioni (metto i manicotti? o i pantaloni lunghi? e la giacca?), richiudi il borsone (la cosa più difficile della giornata, e ogni giorno è peggio!), ti ri-perplimi ancora un attimo, colazione.

E, alla fine della giornata, la pasta scotta del pasta-party e gli improbabili accostamenti gastronomici tedeschi, ma è tutto abbondante e tu mangeresti anche le gambe del tavolo, naturalmente accompagnandole con un paio di birre!


Le discese ardite e le risalite
Sembra sempre impossibile farcela. Finché non ce la fai.
(Nelson Mandela)
Già, son qui per correre… Ma la gara, in fondo, è il meno, ne hai già fatte tante, sai cosa ti aspetta. A parte il fatto che, finita una, ne devi fare un’altra il giorno successivo. E poi un’altra ancora e ancora e ancora… Con la coscienza di aver cazzeggiato tutto l’anno e di non sentirti per nulla pronto ad affrontare tutto ciò!

Parti il primo giorno… bene, dai! sono solo 40 km… e già pensi che nei 27 km del secondo giorno tirerai sicuramente le cuoia. E invece passi indenne anche questi! E poi anche quelli successivi. L’importante è superare l’impatto sconvolgente della partenza, sciogliere i muscoli anchilosati nei primi chilometri. Poi, man mano che passano chilometri e giorni, ti accorgi che no, non stai migliorando, però ti adatti sempre più, sei più resistente, muscoli e articolazioni funzionano bene, sei stato fortunato e non sei caduto, non hai preso storte o contratture, le scarpe che hai portato sono quelle giuste e non ti procurano vesciche, le unghie sono intatte e riesci, insomma, a divertirti. Nonostante il caldo e la pioggia, il fango e le rocce scivolose, il freddo che ti prende in cima alle vette, la rabbia per certi tratti che non ti piacciono e gli inevitabili momenti di sconforto.


Chi me l’ha fatto fare, domani mi do al golf!
La montagna chiama e devo andare.
(John Muir)
Molti uomini prendono la via più dritta e stretta. Qualcuno prende la meno trafficata. Io scelgo di tagliare attraverso il bosco

L’ho pensato, costeggiando un campo da golf lungo il tragitto di una tappa. Ma non è vero, non mi darò mai al golf! Una dolce distesa ondulata di erba perfettamente pareggiata contro un sentiero impervio, un bosco fatato, una discesa a capofitto e uno sfondo di guglie di granito? Il caddy che ti porta la sacca coi ferri contro lo zaino in spalla che contiene tutto quel che ti serve per sopravvivere? L’emozione di una buca contro la vertigine del baratro? No, grazie, sono ancora troppo scemo per il golf!

With a Little Help from My Friends
Oh, I get by with a little help from my friends
Mm, I get high with a little help from my friends
Mm, gonna try with a little help from my friends
(Lennon/McCartney)
La TAR si corre in coppia. Aiuta. Non tanto nella corsa in sé, lì l’importante è passare insieme i punti di controllo e di arrivo. Quanto nell’affrontare tutto il resto. Uno sguardo, un abbraccio quando serve, una battuta prima di chiudersi nel sacco a pelo, un semplice “dai!” sulla salita più bastarda o nel CAMP più fetido, un qualsiasi appiglio per affrontare i marosi della tempesta che ci circonda.


La calma dopo la tempesta
E, infine, arriva l’ultimo giorno. L’ultimo traguardo attraversato coi goccioloni che ti scendono dagli occhi e un groppo che ti stringe la gola. Per tutta la fatica fatta, pensi, per la soddisfazione di essere riuscito a finire qualcosa che pensavi più grande di te. Solo dopo, con calma, capisci che non sono solo lacrime di soddisfazione. Solo dopo, tornato nel solito tran tran quotidiano, comprendi il senso di disperazione che ti ha offuscato per un attimo gli occhi. Si, perché la tempesta ti ha cambiato, è entrata dentro di te, ne hai assimilato ritmi, riti, paure e gioie. E senti che ti mancherà.
Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
(Haruki Murakami)
Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.
(Emily Brontë)

